Il documento che sancisce la nascita dell’originario aggregato di Pontelandolfo risale al 980; è un atto di donazione del territorio di Ponte S. Anastasia da parte del principe beneventano Pandolfo Capodiferro e di suo figlio Landolfo, ai monaci benedettini di Montecassino. La tradizione vuole che siano stati gli stessi monaci ad interessarsi della costruzione sia del castello che della chiesa della SS. Annunziata. Una diversa interpretazione, motivata dal ritrovamento dello stemma custodito nella chiesa madre del SS. Salvatore, vuole che il principe longobardo “Landolfo”, a circa un chilometro dall’antico Casale di Santa Teodora della località Sorgenza, onde poter attraversare il torrente Alente fece costruire un ponte, al quale diede il suo stesso nome: da questo Pontem Landulphi (poi Pontelandolfo) il nome, evocato per la prima volta nel 1138 nella cronaca dello scrittore medioevale Falcone, per indicare l’abitato che si sarebbe formato nei pressi. Può darsi benissimo che in quel medesimo sito nell’antichità sannitica vi sia stato uno degli Oppidi sanniti, sulla via Numicia, comunicante i Caudini con i Pentri. Diverse vicende, nei secoli che seguirono, devastarono il borgo. Il primo noto evento risale al 1138 data in cui Pontelandolfo subì un primo assedio ed incendio per mano di Re Ruggero il Normanno, a causa della ribellione del Conte di Ariano. E’ chiaro quindi che era sito nella Contea di Ariano, la quale venne abolita dai Re Normanni. Fu feudo del Bursello, dei Sanframondo, degli Svevi, dei d’Angiò, nonché dei Gambatesa che per ragioni difensive, a protezione del piccolo borgo, già cinto interamente da mura, costruirono una imponente torre merlata, tutt’oggi esistente in tutta la sua originaria maestosità, simbolo eterno del paese. Nel 1349 un forte sisma distrusse interamente l’abitato. Ricostruito, fu nuovamente distrutto quasi interamente da un forte terremoto nel 1456. Nel 1461 subì un ulteriore assedio ed incendio questa volta ad opera di Ferdinando I d’Aragona in guerra contro Giovanni d’Angiò e i suoi vassalli. Successivamente, Pontelandolfo, con la sua terra, fu venduto da Ferdinando II d’Aragona ad Andrea di Capua. Infine, dopo ulteriori vicissitudini, diventa nel 1466 terra dei Carafa fino al 1806, anno in cui venne abolita la feudalità, che anche qui faceva sentire la sua gravezza, pretendendosi onerosi pagamenti dai pastori che conducevano gli armenti sulle montagne. Nel 1688 ancora una volta un violento terremoto danneggiò gravemente l’abitato di Pontelandolfo decimando buona parte della popolazione già duramente colpita pochi anni prima dalla pestilenza. Nel 1806 Giuseppe Napoleone, con l’abolizione della schiavitù, pose fine alle secolari contese. Solo con l’avvento del XVIII secolo, iniziò a delinearsi in modo concreto un risveglio demografico, favorito peraltro dalla stabilità assicurata dal nuovo Stato Borbonico, che prese corpo soprattutto nel corso del XIX secolo. E’ di questo periodo l’affermarsi delle arti e dei mestieri legati alle risorse locali. La pastorizia subisce un significativo incremento con la conseguente produzione di lavori tessili e dei ricami, di lavori in ferro, in legno ed in pietra, che rappresenteranno l’economia e l’attività del paese. Prima della realizzazione della ferrovia Benevento-Campobasso, posto sulla via Sannitica, Pontelandolfo era un importante centro di transito e di commercio tra Napoli e il Sannio, con una ricca dogana di granaglie istituita nel 1853 con decreto di Ferdinando II di Borbone. Più volte nei secoli oggetto di calamità naturali e non, Pontelandolfo vive l’ennesimo dramma durante le note vicende di sangue dell’estate del 1861, pagando così con la morte e la distruzione la tanto agognata Unità d’Italia. I delittuosi fatti che con ferocia si perpetrarono il 14 agosto 1861, hanno senza dubbio segnato la pagina più triste della lunga storia di questo paese. Era l’anno 1861, mentre i rivolgimenti italiani preparavano al nuovo regno, una banda di briganti comandata da Cosimo Giordano giunse il 7 di agosto in Pontelandolfo depredando le case dei cittadini che intanto erano fuggiti, ed assassinando un negoziante ed un altro pacifico cittadino. Il giorno 11 agosto per sedare i disordini fu inviato da Campobasso un drappello di 45 soldati del 36° di linea col tenente Bracci e 4 carabinieri. Questi attaccati si rifugiarono nella torre, ma provocati dagli insorgenti ed a corto di munizioni, tentarono una sortita incamminandosi verso Casalduni. Qui una numerosa banda di briganti, comandata da Angelo Pica li trucidò. Fu così che all’alba del 14 agosto per ordine del generale Cialdini un battaglione di 500 bersaglieri comandati dal tenente Pier Eleonoro Negri raggiunse il paese. La gente ignara di quanto fosse accaduto a Casalduni, smarrita fuggiva dall’abitato. Ma l’ordine fu eseguito. Il giorno dopo un dispaccio annunziava laconicamente nei giornali ufficiali “ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo …”. A partire da questo fatale “incontro” con la storia dell’Unità d’Italia gli anni bui del Grande Esodo non tardarono ad arrivare carichi di effetto dirompente per la stabilità residenziale della comunità pontelandolfese: o brigante o emigrante. Giuliano Amato, ex premier negli anni Novanta, su delega del Capo dello Stato, il 14 agosto 2011 ha scritto nel grande libro della storia del paese la frase lungamente attesa: “A nome del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di storia”. Il resto è storia dei nostri giorni.