Adagiata sulle lussureggianti pendici aspromontane dell’alta Piana di Gioia Tauro, Cinquefrondi, città di circa settemila abitanti, fa da cerniera tra lo Jonio e il Tirreno, grazie alla strada a scorrimento veloce che penetra nel suo territorio sovrapponendosi su un antichissimo sentiero tracciato dai Greci di Locri quando si affacciarono su questa parte della Calabria scoprendola essere abbondantemente ricca. Almeno due erano le antiche vie di collegamento che attraversavano l’attuale territorio di Cinquefrondi utilizzate dai Locresi per spingersi verso le colonie di Medma (l’attuale Rosarno), Metauros (oggi Gioia Tauro) e Hipponion (Vibo Valentia). Una città quella di Cinquefrondi, che oggi sembra una terrazza sulla piana alla cui estremità si elevano impetuose legrandi gru del porto di Gioia Tauro, speranza di sviluppo per il territorio. Tutto intorno un’immensa distesa di uliveti e di verde garantiscono un clima mite che avvolge una terra ricca di bellezze naturalistiche e storiche. Qui i Locresi, intono al V secolo a.C. realizzarono una specie di avamposto lungo uno dei tragitti che dallo Jonio portano al Tirreno. Secondo Proclo, i Locresi, dopo aver riedificato Altano e Morgete, vetuste città dalle origini Italiche, costruirono una piccola fortificazione nelle vicinanze della quale edificarono anche un tempo chiuso agli oracoli per non inficiare la fama del grande tempio di Proserpina di Locri. In poco tempo quel piccolo avamposto divenne una vera cittadina che non disdegnò la cura verso la religione pagana. Proprio la presenza del tempio dedicato anch’esso alla Dea Proserpina, ad Apollo ed alle Muse, diede il nome all’antica città: Templum Musarum. Di quel periodo e quello successivo alla colonizzazione romana, permangono non solo toponimi ma anche testimonianze archeologiche che confermano la presenza greca e romana. Le possibilità di sfruttare le ricchezze del territorio non sfuggirono ai Romani che si stanziarono in questa zona realizzando insediamenti imponenti come una grande villa, con annesse terme e ninfeo datata tra il II e il IV secolo, sulle rovine delle strutture greche. Successivamente come tutta la Calabria, anche questa parte di territorio divenne dominio di Goti, Bizantini, Angioini, Spagnoli, Francesi e Borboni. L’attuale centro urbano che sorge su un sito diverso rispetto a quello più antico, venne fondato tra il 1370 e il 1390 da Antonio Caracciolo, Conte di Gerace, quando entrò in possesso della Baronia di san Giorgio, nel cui territorio erano situati alcuni villaggi. Il Caracciolo, dopo aver comprato, con il consenso della regina Giovanna I, altri due casali Mossuto e Capperano dalla famiglia Conclubet alla quale appartennero fino al 1365, di Arena, edificò una nuova città, dotandola di castello e possenti mura di cinta a forma pentagonale, unificando i cinque villaggi, alla quale diede il nome di “Quinquefrondium” che nei secoli successivi cambiò in “Quinquefrondibus”, poi in Cinque Fonti ed infine in Cinquefrondi. I casali dalla cui riunificazione nacque la nuova città: Mossuto, Capperano, Bentrikones, che sorgeva oggi nel luogo chiamato Ventriconi, Sant’ Elia e San Filippo.
Dai Caracciolo la città passò alla proprietà dei Correale e poi ai suoi eredi Giffone. Particolarmente affascinati del territorio furono i monaci greco-bizantini, che qui fondarono, sin dall’VIII secolo auree e monasteri dopo aver abitato in grotte scavate nel tufo. Restano di quel periodo alcune grotte con tracce di affreschi in un pendio nelle vicinanze dall’attuale monastero di San Filippo d’Argirò edificato anch’esso dai Caracciolo verso la fine del 1300 e l’inizio del 1400 sul luogo ove sorgeva una vecchia costruzione più antica, una cappelletta bizantina dell’XI secolo che aveva originariamente tre absidi poi ridotte ad una soltanto che si trova nella zona di S. Elia. Tutt’oggi restano i resti della cappella diroccata intitolata a S. Anna ed i resti di un monastero, forse femminile intitolato a Sant’Elia Juniore che presenta caratteristiche finestre a strombatura sia all’interno che all’esterno. I violenti terremoti dei secoli passati hanno cancellato parte di queste testimonianze alcune delle quali, per fortuna, si sono salvate e testimoniano un passato carico di storia e di arte. Nelle chiese cittadine ed in particolare nel Duomo è possibile ancora ammirare reperti e stature provenienti dai monasteri. Tra essi la statua marmorea di S. Stefano attribuita ad un autore di Scuola Napoletana del XVI secolo e due crocefissi lignei che si trovano nella Chiesa del Carmine e nella Chiesa Matrice. Nel Duomo si conserva la statua lignea del santo protettore della città, San Michele Arcangelo, realizzata dallo scultore serrese Vincenzo Scrivo che scolpì anche la statua della Madonna del Carmine che si conserva nell’omonima chiesa. L’origine tardo medievale della città è riconoscibile negli elementi urbani del centro storico che si sviluppò nell’attuale rione Rosario intorno alle mura di cinta tra viuzze strette, vicoli caratteristici e case abbarbicate una sull’altra secondo uno schema tradizionale dei centri storici calabresi. In tutto il territorio circostante al castello, che aveva una grande torre centrale con rivellino quadrato, si svilupparono, nei secoli successivi, altri rioni. Oggi la città che sorge a 248 metri sul livello del mare si presenta accogliente con ampie strade e nuove opportunità di sviluppo urbano. Il territorio circostante collinare di quasi 30 chilometri quadrati penetra trai monti della Limina nel territorio del Parco Nazionale d’Aspromonte tra immense distese di faggeti e pinete che rappresentano una ricchezza ambientale da conservare e custodire oltre che luoghi ideali di relax per gli amanti della natura che possono ammirare e godere di lussureggianti anfratti ricchi di ruscelli, di flora e di fauna propri della zona aspromontana. Tra le specie uniche presenti nel territorio montano in ambienti umidi vi è la felce tropicale “Woodwardia Radicans” che ancora si conserva dopo milioni di anni. A valle del territorio montano trova facile sviluppo l’olivicoltura e l’agrumicoltura che ha rappresentato la principale attività economica insieme ad un floridissimo artigianato. Caratteristica di questo settore è stata la ampissima presenza di addetti dediti alla concia delle pelli e alla fabbricazione di calzature che ne ha contraddistinto per oltre un cinquantennio la stessa identità produttiva della città. Una città che, affacciandosi nel terzo millennio, conserva intatto tutto il suo fascino e la sua millenaria storia.
Dai Caracciolo la città passò alla proprietà dei Correale e poi ai suoi eredi Giffone. Particolarmente affascinati del territorio furono i monaci greco-bizantini, che qui fondarono, sin dall’VIII secolo auree e monasteri dopo aver abitato in grotte scavate nel tufo. Restano di quel periodo alcune grotte con tracce di affreschi in un pendio nelle vicinanze dall’attuale monastero di San Filippo d’Argirò edificato anch’esso dai Caracciolo verso la fine del 1300 e l’inizio del 1400 sul luogo ove sorgeva una vecchia costruzione più antica, una cappelletta bizantina dell’XI secolo che aveva originariamente tre absidi poi ridotte ad una soltanto che si trova nella zona di S. Elia. Tutt’oggi restano i resti della cappella diroccata intitolata a S. Anna ed i resti di un monastero, forse femminile intitolato a Sant’Elia Juniore che presenta caratteristiche finestre a strombatura sia all’interno che all’esterno. I violenti terremoti dei secoli passati hanno cancellato parte di queste testimonianze alcune delle quali, per fortuna, si sono salvate e testimoniano un passato carico di storia e di arte. Nelle chiese cittadine ed in particolare nel Duomo è possibile ancora ammirare reperti e stature provenienti dai monasteri. Tra essi la statua marmorea di S. Stefano attribuita ad un autore di Scuola Napoletana del XVI secolo e due crocefissi lignei che si trovano nella Chiesa del Carmine e nella Chiesa Matrice. Nel Duomo si conserva la statua lignea del santo protettore della città, San Michele Arcangelo, realizzata dallo scultore serrese Vincenzo Scrivo che scolpì anche la statua della Madonna del Carmine che si conserva nell’omonima chiesa. L’origine tardo medievale della città è riconoscibile negli elementi urbani del centro storico che si sviluppò nell’attuale rione Rosario intorno alle mura di cinta tra viuzze strette, vicoli caratteristici e case abbarbicate una sull’altra secondo uno schema tradizionale dei centri storici calabresi. In tutto il territorio circostante al castello, che aveva una grande torre centrale con rivellino quadrato, si svilupparono, nei secoli successivi, altri rioni. Oggi la città che sorge a 248 metri sul livello del mare si presenta accogliente con ampie strade e nuove opportunità di sviluppo urbano. Il territorio circostante collinare di quasi 30 chilometri quadrati penetra trai monti della Limina nel territorio del Parco Nazionale d’Aspromonte tra immense distese di faggeti e pinete che rappresentano una ricchezza ambientale da conservare e custodire oltre che luoghi ideali di relax per gli amanti della natura che possono ammirare e godere di lussureggianti anfratti ricchi di ruscelli, di flora e di fauna propri della zona aspromontana. Tra le specie uniche presenti nel territorio montano in ambienti umidi vi è la felce tropicale “Woodwardia Radicans” che ancora si conserva dopo milioni di anni. A valle del territorio montano trova facile sviluppo l’olivicoltura e l’agrumicoltura che ha rappresentato la principale attività economica insieme ad un floridissimo artigianato. Caratteristica di questo settore è stata la ampissima presenza di addetti dediti alla concia delle pelli e alla fabbricazione di calzature che ne ha contraddistinto per oltre un cinquantennio la stessa identità produttiva della città. Una città che, affacciandosi nel terzo millennio, conserva intatto tutto il suo fascino e la sua millenaria storia.