Un no che viene dal cuore agli oliveti superintensivi

Il Punto  01 Maggio 2023



Se vi capita, cari lettori, di andare a trovare, con l’aiuto di Google, cosa s’intende per oliveti superintensivi e quali sono i pro e i contro di una forma di allevamento – nata qualche decennio fa in Spagna con l’adattamento di due o tre delle più note varietà diffuse nella penisola iberica – troverete, fatta salva qualche eccezione, solo note di esaltazione dell’oliveto superintensivo, soprattutto per la sua predisposizione ad accorciare i tempi di produzione e a dare una quantità di produzione superiore all’oliveto allevato nelle forme tradizionali. Una trasformazione radicale di una coltura, dopo seimila anni dalla sua espansione, in compagnia con la viticoltura, dalla terra della mezzaluna fertile alla conquista dei territori bagnati da quel mare stupendo che è il “mare nostrum”, il Mediterraneo. Un percorso lento, accelerato dai romani del grande impero, che ha portato tutti i popoli coinvolti nel tempo, a considerare l’olivo, la “pianta sacra” per eccellenza e tutto grazie al suo olio, ottenuto dalla spremuta delle sue olive, sempre più considerato, con il passar del tempo, una panacea contro ogni male. E, con il passare di alcuni millenni, l’alimento filo conduttore di uno stile di vita che un fisiologo americano, Ancel Keys, ha dichiarato, nella seconda metà del secolo scorso, nella Campania felix, Dieta Mediterranea. Da qualche anno riconosciuta patrimonio culturale dell’Umanità che il mondo, non a caso, ha posto sul gradino più alto e considera la più importante, non tanto perché la più varia, ma soprattutto, perché la più salutare. La fama dell’olivo e della stessa vite portano l’olio e il vino a diventare simboli, come nel caso della messa, il rito centrale della cristianità. Millenni di storia caratterizzati dal rispetto dell’uomo per la natura e, da parte dell’uomo coltivatore, per la terra. E, non solo, anche per il tempo contrassegnato dalle stagioni e dalla continuità, da esse espresse, del passato con il presente e di questo con il futuro. Una continuità segnata da valori, prima fra tutti il rispetto, elemento di armonia e di pace, che il neoliberismo, con la sua mania di distruzione e depredazione della natura e dei valori per dare spazio alla quantità a scapito della qualità, ha cancellato. L’esempio del rispetto e dell’amore per la terra lo si trova nella pratica millenaria del “maggese”, ovvero del riposo del terreno, necessario, con l’aiuto di alcune lavorazioni, per rigenerare la fertilità. Sono certo che la scienza, che ha portato allo sfruttamento del terreno aveva ben chiaro, eliminando la pratica del maggese e mettendo in campo la chimica e la possibilità, a dispetto delle stagioni, di più colture nell’anno, ha ben considerato l’attacco alla vita espressa dalla fertilità del terreno. Una volta, però, messa nelle mani della finanza (banche e multinazionali) diventa il grande affare di un sistema, il neoliberismo, che, come si sa, pensa solo a come consumare per fare denaro. A tal punto da trasformarlo da mezzo a fine e venerarlo come un nuovo dio. Non solo furto di terreno destinato all’agricoltura, ma, anche, con il diffondersi dell’agricoltura industriale, un suo costante impoverimento. È la FAO a denunciare (2018) il fallimento dell’agricoltura industriale, la sua opera distruttiva della fertilità e, così, del cibo. L’agricoltura, non a caso, la più sostenuta finanziariamente dall’Unione europea, e, con essa, gli allevamenti superintensivi, che, insieme, rappresentano la seconda voce, dopo i fossili, della sempre più grave situazione che sta vivendo il clima. Gli oliveti superintensivi – lo conferma la promozione delle aziende vivaistiche e dei venditori di concimi e antiparassitari, che si trova su Google – è un’espressione alta dell’agricoltura industrializzata, cioè della pratica che depreda e distrugge il suolo, al pari degli enormi pali eolici e dei pannelli solari a terra. Non a caso si parla sempre più, se vogliamo il cibo vero, di agricoltura rigenerativa che torna a collegare il presente al passato per dare, con la continuità, un domani capace di nutrire di bellezza, di convivialità, di valori e di risorse le nuove generazioni. A partire dall’”ultima” che ha perso ogni speranza di fronte alle scelte o non scelte dei padroni del mondo e dei governi che, a vari livelli, seguono i loro ordini. Mentre scrivo sto pensando a un incontro di poco fa, molto affollato, dell’attuale nostro capo di governo con gli imprenditori, per parlare della ricostruzione dell’Ucraina. Un incontro che spiega bene la mente diabolica di un sistema basato sul consumo di ogni cosa, risorse e valori, e tutto da trasformare in denaro. In pratica, prima si inviano le armi per ammazzare ed essere ammazzati e, insieme, per distruggere un territorio ricco di storia e di cultura, di antiche tradizioni, e poi il grande affare legato alla ricostruzione. Si capisce bene il silenzio sulla pace, neanche una parola, e subito il ricatto delle sanzioni e l’invio delle armi, come a dimostrare che si aspettava solo la dichiarazione di guerra da parte di un rappresentante di oligarchi, non diverso da chi utilizza il potere. È dentro questo ragionamento, prim’ancora che di ordine tecnico, il mio no allo spreco di suolo per un’agricoltura industrializzata, che l’oliveto superintensivo rappresenta magnificamente, con l’attacco alla biodiversità (un patrimonio enorme quella dell’olivicoltura italiana e, oggi, più che mai strategica per il mercato); al declino della popolazione di uccelli (una notizia che arriva dalla patria dell’oliveto superintensivo, la Spagna); l’uso e abuso di acqua e di prodotti chimici; la necessità di possenti macchine che solo grandi estensioni possono ammortizzare. In pratica un furto, nel tempo, proprio di agricoltura, quella che assicura il cibo del domani e che, rimessa al centro quale perno di uno “sviluppo”, dà a questa parola il suo vero significato, se legato a quello altrettanto importante, “progresso”, cioè speranza, benessere, uguaglianza, convivialità, crescita e non disperazione per colpa di guerre, depredazioni, distruzioni, disuguaglianze. Basterebbe un po’ più di attenzione per il domani dei propri figli e nipoti per sentire l’urlo straziante della terra che, a metà anno non ha più niente da dare, e del clima che, ogni giorno, ci dà segnali non belli, sempre più preoccupanti. So bene che non è facile nel tempo in cui il denaro è padrone assoluto e onnipresente.

Pasquale di Lena, fondatore delle Città dell’Olio