Tra gli uliveti terrazzati di Vallecorsa la bella iniziativa “Giardini e Paesaggi Aperti 2021”
Sabato 25 settembre, l’agronomo Ernesto Migliori ha guidato un gruppo di appassionati ed esperti alla scoperta degli uliveti terrazzati di Vallecorsa, nell’ambito dell’iniziativa “Giardini e Paesaggi Aperti 2021” lanciata dall’AIAPP (Associazione Italiana Architettura del Paesaggio). La passeggiata si è snodata attraverso un paesaggio aspro, ma da mozzafiato a cavallo tra la provincia di Latina e Frosinone e dove straordinarie opere d’ ingegneria rurale (le macère), ovvero mura a secco, sono incastonate senza soluzione di continuità tra bastioni e contrafforti rocciosi, in modo da formare una paesaggio dove ‘architettura contadina’ e formazioni naturali convivono con equilibrio esemplare e assoluta armonia. A modellare le forme, talvolta a cuspide, e in altri casi affusolate delle rocce, ci ha pensato il vento e l’erosione naturale. All’orizzonte si stagliano i Monti Ausoni.
“La risultante di tutto questo . spiega Migliori . è stato lo sviluppo di un’agricoltura eroica, mirata alla coltivazione dell’ulivo, in un ambiente carsico privo di risorse acquifere e dove perfino parte del terreno è stato trasportato in tempi antichi dal fondovalle a piedi o a dorso di mulo”.
“Le radici sviluppatesi nel poco terreno disponibile e ‘intrappolate’ nella dura pietra calcarea, hanno inevitabilmente limitato lo sviluppo del diametro dei fusti, ma in compenso gli ulivi in quest’area – racconta Migliori – sembrano avere una resa d’olio straordinaria; fino a 20 litri di olio a quintale e, talvolta, qualcosina di più durante le annate fortunate”
Almeno 1,000 ettari di terrazzamento a pietra sono presenti nell’area e 730 di questo sono stati inseriti nel Registro dei Paesaggi Rurali Storici con uno specifico decreto del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La storia dei muri a secco risale a prima del 1327, secondo gli Statuti di Vallecorsa datati 1531 ed emessi da Ascanio Colonna Duca di Tagliacozzo, che in quel tempo esercitava la Signoria.
La bellezza dei terrazzati di Vallecorsa non poteva sfuggire all’attenzione delle istituzione internazionali, e non è un caso che l’UNESCO li ha dichiarati patrimonio immateriale dell’umanità. Queste eccezionali opere d’ingegneria rurale continuano a svolgere un ruolo indispensabile nel contenere il dissesto idrogeologico ma, come spiega Ernesto, anche le specifiche associazioni di piante e piccoli animali che vivono nelle, ed intorno, alle macère costituiscono una vera e propria nicchia di diversità biologica.
E’ ovvio che preservare le tradizioni implica anche un conoscenza delle loro origini e questo Migliori lo fa ‘scavando’ letteralmente nella storia alla ricerca di testi e documenti antichi che possano svelare quelle connessioni meno implicite tra passato e presente. Infatti, proprio grazie all’analisi di un testo del 1840 intitolato “Memoria sulla Mosca degli ulivi”, a opera di un medico naturalista di Lenola ( Francescantonio Notarianni), Ernesto ha scoperto che il vero olivo (cultivar tipica di Vallecorsa) non è la carboncella ma, bensì la vallecorsana, il cui olio è piccante ma dolce allo stesso tempo.
Ernesto Migliori non limita la sua competenza soltanto allo studio e descrizione di questo affascinante paesaggio ma si batte in prima persona, insieme ad una stratta cerchia di collaboratori, per promuovere in modo fattivo la storia e la cultura dell’olivo, affinché’ l’enorme patrimonio di saperi e tradizioni non vada diverso. Per questo è stata creata la cooperativa “La Carboncella” che e si prodiga attivamente per la realizzazione di questi obiettivi.
Qualcuno, a questo punto, si domanderà cosa tutto questo ha a che fare con un pagina FB dedicata alla pastorizia. Le connessioni ovviamente ci sono, non soltanto perché Vallecorsa è fortemente ancorata ad un economia agro-pastorale, ma anche perché – come racconta Ernesto – i pastori rappresentavano sia un potenziale rischio sia una benedizione per la coltivazione dell’ulivo. Ai pastori si vietava di attraversare i terrazzamenti con i loro greggi (soprattutto quelli caprini) perché’ avrebbero potuto causare danni ingenti alle coltivazioni. Ecco perché’ i possedimenti (pessioune in gergo) più apprezzati erano proprio quelli situati vicino alle zone alte demaniali, non coltivate, e quindi meno soggette all’attraversamento e sconfinamento delle greggi. Dall’altro canto i pastori di pecore venivano pagati per far stabulare i propri animali per alcuni giorni all’interno dei terrazzamenti in pietra, in modo che gli animali potessero ripulire il suolo dalle erbacce e concimare il terreno con i loro escrementi.
La visita si è poi conclusa al magnifico complesso dei pozzi delle “Prata” (vecchi di quasi un millennio) con l’annessa chiesetta di San Gaetano da Thiene appena fuori il Centro storico di Vallecorsa. Personalmente, ritengo che questi siano i più bei pozzi in pietra a secco in cui mi sia mai imbattuto. Un’opera straordinaria che, nei secoli, ha garantito una preziosa riserva idrica per la popolazione locale ed il proprio bestiame. Intorno a pozzi sono allineate 40 vasche “scifi” di pietra che fanno da corona all’intero complesso; queste erano utilizzate dalle donne per il lavaggio del bucato e della lana.
Anche se oculate opere di ripristino e salvaguardie delle ‘macere’ possono essere ancora progettate e realizzare, resta impossibile – invece – concepire la ‘ricreazione’ di quel paesaggio culturale sonoro (soundscape) che si sovrapponeva invisibilmente e indivisibilmente al paesaggio naturale. Parliamo dei canti delle donne durante la raccolta delle olive e del grano, dei suoni delle campane con qualità timbriche diverse portate dagli animali al pascolo, dei loro belati e muggiti, del suono modulato di flauti di canna che il pastore suonava tra una pausa e l’altra….tutto questo universo di suoni che permeava l’ambiente straordinario dei terrazzamenti di Vallecorsa fa parte, purtroppo, di una passato irripetibile, anche se tuttora presente nella memoria di alcuni anziani. Recuperare, attraverso la ricerca etnografica, alcune di queste sonorità è ancora fattibile mentre sarà quanto mai arduo ricollocarle nella loro dimensione naturale, ovvero nel paesaggio culturale d’origine.
Dario Novellino – Antropologo
Ph Dario Novellino 2021