L’Olivicoltura a Pove del Grappa

News  18 Gennaio 2021



Ringraziamo LORENZO PAROLIN per l’articolo che ha dedicato all’olivicoltura a Pove del Grappa

Degli olivi in zona si parla nel Codice Ezzeliniano. Nel 1131 si fa riferimento alla donazione al monastero di Campese di “un pezzo di terra con olivi” lungo il Brenta

Gennaio tempo di gelate. Per le piante significa riposo in attesa della primavera, ma per le essenze mediterranee brina e ghiaccio potrebbero essere fatali. Lo sanno bene a Pove, appena a nord di Bassano all’imbocco della Valbrenta, dove da un millennio è di casa l’olivo. Pianta, che profuma di mondo classico e medio Oriente, salita alla dignità letteraria già con la Bibbia e con Omero, ha trovato ai piedi del monte Grappa una conca nella quale proliferare. Olivi compatti, quelli che hanno messo radici a Pove, capaci di resistere al vento che arriva quasi senza sosta dalla valle e che producono un olio delicato apprezzato per la leggerezza. Non solo: le piante caratteristiche del paesaggio, garantiscono da secoli a Pove il record di zona più settentrionale al mondo dove l’olivo cresce in forma spontanea. E gli abitanti, di questa particolarità sono ben fieri. «Merito del vento che soffiando con continuità asciuga l’aria ed evita le brine – spiega l’ex sindaco Orio Mocellin, oggi tra i responsabili nazionali dell’associazione “Città dell’olio” -. In questo modo le piante resistono anche se la temperatura scende sottozero, entrano in riposo e superano l’inverno senza difficoltà. In questo senso il momento più critico, paradossalmente, può essere la primavera, perché qualche gelata tardiva qui da noi è sempre in agguato e quando si ghiacciano le gemme, davvero non c’è nulla da fare. Ma i nostri olivicoltori vegliano».L’ANTICHITÀ. Per trovare le prime testimonianze della coltivazione dell’olivo all’imbocco della Valbrenta bisogna andare a ritroso fino al medioevo. È del 1131 il primo documento che attesti la presenza di oliveti in zona. Nello specifico si tratta del cosiddetto “Codice Ezzeliniano”, un passaggio del quale cita la donazione al monastero di Campese di “un pezzo di terra con olivi”, sulla sponda destra del fiume Brenta. Si passa, poi, al 1263, quando nel Regesto, l’inventario delle proprietà ezzeliniane appaiono nuovamente gli olivi “messi a coltura oltre al sorgo e alle viti dagli homini di Solagna et di Pove”. Ancora, attorno alla metà del secolo successivo, al nuovo parroco, Paolo di Cherso, il vescovo di Padova fece dono di quindici piante ripartite in due appezzamenti di terreno “come ricompensa per la cura d’anime di Pove”. Gli stessi olivi furono citati in diversi documenti fino a oltre la metà del ‘500 e crebbero fino alle 75 unità. Col cambio di secolo, tuttavia, l’Europa fu investita dalla cosiddetta Piccola era glaciale e Pove non fece eccezione. Inverni rigidissimi ed estati fresche, decimarono gli olivi della zona, anche se alcune piante resistettero nelle zone più riparate, se necessario finendo “incappucciate” con paglia e sacchi di iuta per resistere ai rigori della brutta stagione.L’ETÀ MODERNA. Si arrivò così all’inizio del ‘900, in particolare agli anni immediatamente successivi alla Grande guerra, durante i quali dallo Stato arrivò una serie di leggi concepite per incoraggiare l’olivicoltura. Leggi che favorivano la costituzione di consorzi tra coltivatori, la ricostituzione di oliveti vecchi o deperiti e la lotta contro parassiti e malattie. Ai piedi del Grappa, le nuove norme furono una manna e come riportano le cronache dell’epoca “il rilancio dell’olivo ne ebbe un impulso grandissimo” segnando numeri in crescita fino al boom degli anni ’60 e ’70. Mezzo secolo fa, infatti, l’abbandono progressivo della coltivazione del tabacco in valle, obbligò a ripensare l’utilizzo di terrazzamenti e masiere. E la foglia esotica arrivata con Colombo dall’America centromeridionale, fu sostituita dalla pianta mediterranea per eccellenza. Non solo: i piccoli olivi di montagna, ormai adattatisi all’ambiente di Pove erano ideali anche come piante ornamentali e, prima come vezzo, poi come abitudine diffusa, i giardini di Pove cominciarono a presentare ognuno il proprio olivo. Grazie poi a una collaborazione sempre più stretta con il locale istituto agrario “Parolini” e alla lungimiranza degli allora amministratori, all’inizio degli anni ’80 fu promossa la “Fiera mercato dell’olivo”. Da allora, con la sola interruzione per Covid la scorsa primavera, è un evento che ogni anno anima i giorni precedenti la Pasqua.«Arriviamo al 2000 – chiude Mocellin – : prima la costituzione di una cooperativa tra gli olivicoltori, poi l’ammodernamento dei frantoi e l’ingresso nella rete delle Città dell’olio, con riconoscimenti nei concorsi nazionali. I prossimi passi saranno la realizzazione di una “Strada degli olivi” che passando per Pove legherà la Marca trevigiana al Garda e i corsi di assaggio per formare i futuri “sommelier dell’olio”». Nel segno di un’annata, il 2020, che ha regalato un prodotto di altissima qualità. Il miglior modo per rendere omaggio alla donazione del campo con olivi che aprì nel XII secolo il primo capitolo di una storia che prosegue con successo.