Dalla sovranità alla sicurezza alimentare il passo è più breve di quanto si pensi
Per la transizione e affermazione ecologica dell’agricoltura c’è bisogno di territorio, come pure di programmi, progetti, strategie. Produttori e consumatori insieme non solo per dialogare, ma, anche, per essere protagonisti
L’Agricoltura “tradizionale” (non convenzionale o industriale), biologica, che ha a cuore la vita che anima il suolo, la sua naturale fertilità non inquinata o distrutta dalla chimica, non è un’opzione, ma un’urgente necessità per la salute della Terra, dell’umanità, del clima, della biodiversità animale e vegetale.
Una necessità urgente anche per la definizione di un’alternativa all’attuale sistema che riporti al centro la natura e, con essa, l’uomo, il sogno, la voglia di respirare aria pura, bere acqua potabile, camminare, volare, stare insieme per costruire un nuovo domani.
Bisogna uscire dalla logica “quantità = denaro”, per vivere la sobrietà espressa dalla qualità, il “poco ma buono” offerto dal territorio, quale storia, cultura, tradizione, e, anche, paesaggio, ambiente.
Il “poco ma buono” del negozio a fianco, che bisogna rilanciare; dei campi non lontani, luoghi di biodiversità e specchi di paesaggi; della tavola che ha al centro il cibo e, intorno, donne e uomini, anziani e bambini, giovani, che parlano, raccontano, ridono, si guardano negli occhi, cantano; della memoria, che è storia, la tua storia. Ancor più se il cibo è accompagnato da un bicchiere di vino, che è brindisi, augurio, speranza, e da una brocca d’acqua di fonte, ancora potabile.
Non c’è, e mai ci sarà, Sicurezza alimentare se il cibo non è al centro della tavola ad appagare lo stomaco, e, insieme, la mente, il cuore. La Sovranità del cibo è la sola possibilità di affermazione di quella Sicurezza – di cui tanto si parla e, quasi sempre, a sproposito – che, per ora, non c’è. Oltre 800 i milioni di donne e di uomini, soprattutto bambini, che muoiono di fame e oltre 3 miliardi quelli che la fame la soffrono ogni giorno in questo mondo delle disuguaglianze, con la forbice che si apre sempre più.
Il cibo dell’agricoltura “tradizionale”, biologica, quello vero, che nutre, dona salute e benessere, e, come sopra si diceva, l’anima la convivialità. Non quello spazzatura che gonfia, ingrassa, ammala, che alimenta gli ospedali, diventa un costo per la società e un affare per chi lo trasforma, lo propone, lo vende.
Ecco che l’agricoltura, quale impronta sociale, torna ad essere, al posto del denaro, perno di un’economia che, così, diventa sana, duratura,pronta ad affrontare le sfide che aprono al domani, due in particolare: il clima e la crescita della popolazione mondiale.
L’agricoltura “tradizionale”, biologica – quella nelle mani di donne e uomini e non strumento di potenti macchine – che torna a interessare la cultura e ad essere al centro del ragionamento politico per diventare progetto di una seria programmazione che guarda e pensa al domani .
L’agricoltura “tradizionale”, biologica, nella mente della ricerca e dell’innovazione, di tecnici e non di venditori, che si occupa della salvaguardia, tutela e valorizzazione del territorio, delle sue risorse e dei suoi valori.
Il Territorio, il nostro bene comune da sempre, che la finanza (banche e multinazionali) stanno provando, con tutti i mezzi, di privatizzare. A dimostrarlo i ripetuti tentativi di modifiche e imbrattamento della nostra Carta costituzionale, che tornano con i referendum promossi da soggetti diversi, ma tutti tentacoli dello stesso polipo, il denaro.
Per la transizione e affermazione ecologica dell’agricoltura c’è bisogno di territorio, come pure di programmi, progetti, strategie. Serve, per la loro realizzazione, soprattutto crederci e agire coinvolgendo tutti i soggetti, a partire dai produttori, e, non solo, dalle comunità, i luoghi, se si vuole ridare: ai Comuni il governo pieno del proprio territorio; all’agricoltura, biologica e/o organica, la sua centralità; al cibo di qualità il significato di salute e di benessere e, anche, di valore universale della convivialità; al territorio la sostenibilità; alla scienza nuovi stimoli; alle nuove generazioni l’eredità dovuta per affrontare il domani; ai produttori e trasformatori un reddito adeguato; ai consumatori la certezza della qualità; ai luoghi il respiro della rinascita.
L’incontro tra produttori e consumatori diventa fondamentale e non solo per dialogare, ma, anche, per stare insieme e renderli protagonisti all’interno delle filiere e non succubi.
Ripartire per affrontare la crisi di un modello di sviluppo, che il Covid-19 ha registrato e messo in luce, azzerando la normalità espressa prima della pandemia, che il potere vuole ripristinare ad ogni costo.
Ripartire dai luoghi e cogliere le tante opportunità che ci sono, per recuperarli, attrezzarli e promuoverli, e, nello stesso tempo, ripartire dalle comunità locali per rafforzarle dal punto di vista culturale, sociale ed economico, riaffermando le identità e rinsaldando i legami sociali.
Dare il via a un nuovo sviluppo rurale, alimentato e sostenuto da: bontà e diversità del cibo prodotto; risorse storico-culturali; qualità dell’aria e dell’acqua; bellezza del paesaggio; gusto dell’ospitalità; tradizioni; strutture abitative recuperate; paesi o borghi accessibili; possibilità di vivere esperienze nuove e di ridare alla memoria la continuità persa.
In pratica l’inizio di un percorso che porta all’affermazione della Sovranità alimentare e, con essa, della Sicurezza alimentare.
Pasquale Di Lena – ideatore e promotore delle Città dell’Olio