Da Colletorto un No all’olivicoltura super intensiva
È questo il risultato del confronto, organizzato dal Comune, tra i relatori dell’incontro di ieri sera a Colletorto, la patria di ben tre varietà autoctone, “Oliva nera”, “Rumignana” e “Cazzarella”. Con Il sindaco Cosimo Miele, l’assessore Franco Paglia, e, con me, c’erano Il prof. Sebastiano Define dell’Unimol; Luigi Pizzuto scrittore e ricercatore della storia di Colletorto, in particolare dei suoi olivi, e l’ex sindaco, Felice Zeoli, uno dei fondatori dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio, che ha ricordato il suo entusiasmo e quello de 30 e più sindaci presenti a Larino il 17 Dicembre del 1994, giorno della nascita dell’istituzione, oggi forte di oltre 300 associati, che ha dato, a dimostrazione della grande intuizione, un particolare contributo all’immagine dell’olivo e dell’olio italiani.
Entrando nel merito del confronto su oliveti super intensivi e tradizionali si è fatto ricorso, per non essere tacciati tifosi, a tre elementi: la storia, il clima, il territorio, tutt’e tre decisivi per il futuro, non solo dell’olivicoltura e della sua agricoltura, ma per il Paese e, soprattutto, per una Regione come il Molise, che ha nella ruralità e nella biodiversità primati da spendere.
Non ci sono più le grandi speranze degli anni ’60, ma le grandi preoccupazioni per il clima, che l’uomo, con le sue azioni sbagliate, continua a rendere sempre più una minaccia. C’è un territorio maltrattato dalla scelta di un’agricoltura industriale che, come si è visto, ha un solo obiettivo, la quantità, non importa se il raggiungimento di esso ha costi altissimi come l’acqua, la fertilità del suolo, mezzi di produzione, legati alla chimica ed alla meccanica, costosissimi, e soprattutto, mancanza di futuro.
L’oliveto super intensivo è la componente di quell’agricoltura industriale che ha mostrato il suo fallimento dopo aver prodotto disastri circa la perdita di fertilità dei suoli, l’inquinamento delle falde freatiche, perdita di biodiversità animale e vegetale, impoverimento delle piccole aziende e chiusura delle stesse. Un fallimento dichiarato, nell’aprile dello scorso anno, dall’organismo dell’ONU, la FAO, che si occupa di agricoltura e alimentazione.
Se è così, un oliveto super intensivo è una scelta che, rispondendo alla logica di un sistema predatorio e distruttivo quale ha dimostrato di essere il neoliberismo, pensa all’oggi e non al domani. Dire No è una necessità anche per ridare all’oliveto tradizionale, con le innovazioni appropriate, a partire dalla scelta del biologico, il ruolo che ha sempre avuto nel corso di millenni, quale: la cura e la bellezza del paesaggio; l’utilizzo di terreni difficili, marginali; la difesa dei territori da frane e smottamenti; il risparmio dell’acqua, e, non ultimo, la difesa di un patrimonio unico, qual è la biodiversità olivicola. In pratica, con la ricca biodiversità, un’offerta in più sul mercato, la diversità degli oli aggiunta al valore ed al significato della qualità di un prodotto così legato alla salute del consumatore. Un valore aggiunto importante per il reddito degli olivicoltori e degli stessi trasformatori.
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