L’olivo è nato in America?

Il Punto  24 Settembre 2018



E’ uno dei paradossi in cui potremmo imbatterci nel prossimo futuro. E, in verità, l’olivo – questa meravigliosa pianta e il suo meraviglioso frutto, l’oliva, dal quale viene il nostro straordinario olio extravergine – di paradossi ne vive già tanti. A cominciare dalla produzione (italiana) che quest’anno, secondo le proiezioni del Dipartimento di Studi Oleicoli del Centro di Eccellenza dell’Olio di Oliva di GEA (CEAO) si attesterà sulle 200 mila tonnellate, che rapportate al consumo interno (quasi 600 mila t.) ed alle necessità del mercato straniero (circa 400 mila t.), porterebbe l’olio italiano ad essere considerato una “rarità”. Se le leggi dell’economia hanno ancora un senso, incrociando la curva della domanda con quella dell’offerta, il valore di mercato del prodotto olio evo Italia dovrebbe essere altissimo, ma così non è! A questo paradosso interno, si somma quello relativo all’origine e alla cultura di questo prodotto che vede il nostro Paese ancora immobile e “congelato” su un Piano Olivicolo Nazionale che non parte o forse è partito solo per qualche “categoria”.

Ma ritornando alla provocazione iniziale, gli Stati Uniti dell’Olio di Oliva e del mondo accademico si stanno incontrando e parlando per lavorare insieme al futuro di questo prodotto. Il prossimo 3-4 ottobre alla YALE University-Yale School of Public Health a New Haven, nel Connecticut si terrà la Prima Conferenza sull’Olio di Oliva con un obbiettivo preciso: quello di costruire un percorso per arrivare alla creazione del primo centro di ricerca, formazione e promozione della cultura dell’olio proprio nella Yale University. Un centro che avrà il compito di cambiare il modo di consumare olio negli “States” attraverso l’educazione alimentare degli americani e non, puntando su salute pubblica, nutrizione e dieta mediterranea. E questo anche grazie alla partnership con il mondo del commercio e della produzione ben rappresentato dalla presenza della North American Olive Oil Association (NAOOA).

Questo intervento strutturato con obbiettivi precisi mi ricorda un altro incontro preparatorio, organizzato dal NYIOOC-International Olive Oil Competition a New York due anni fa nel quale le Città dell’Olio erano presenti per rappresentare l’Italia con una relazione sul tema “La Cultura olivicola: quale futuro”. Già all’epoca si parlava del patrimonio di ricchezze storico, culturali, gastronomiche dei Paesi invitati (Australia, California, Argentina, Spagna …), un patrimonio che l’Italia, ma anche tutto il Mediterraneo, possiede già e  che bisogna solo comunicare attraverso la diffusione della cultura olivicola.

C’era chi ci stava già pensando – la Californian Olive Oil Association ad esempio aveva commissionato uno studio sulla radici storico culturali dell’olivo in California, alla Università di Berkeley – ed oggi si sta lavorando agli atti concreti per costruire il futuro sulle scelte dei consumatori, in questo caso americani e del mondo, attraverso un percorso educativo e culturale.

Purtroppo in Italia, continuiamo a non avere una strategia in questo settore, ma soprattutto continuiamo a pensare che la cultura del prodotto, la cultura del territorio, la cultura di una civiltà millenaria come quella olivicola, sia di per sé non importante, non strategica, un “non valore” dal punto di vista commerciale. Ma “se continuiamo così, continueremo a farci del male” (per citare un famoso attore/regista) non pensando che le motivazioni di scelta di un prodotto passano inevitabilmente dalla consapevolezza legata a ciò che esprime quel dato olio evo in quel dato momento ed in quel preciso luogo di produzione.

Le Città dell’Olio come Rete hanno un patrimonio culturale sul mondo dell’olio evo da mettere a disposizione, con tanto lavoro ancora da fare, ma che sta dando i propri frutti, che cerca con le scarse risorse a disposizione, di creare una cultura ed una curiosità intellettuale verso un prodotto che non ha controindicazioni di nessun tipo, ma che tanto può dare non solo in termini nutraceutici ma anche di soddisfazione emozionale e culturale. La prossima edizione, il 28 ottobre, della “Camminata tra gli Olivi” (www.camminatatragliolivi.it) che coinvolge oltre 120 Città dell’Olio è solo un esempio di come si possono valorizzare i territori a vocazione olivicola, dal momento che migliaia di turisti e appassionati si ritroveranno a condividere una esperienza alla scoperta del paesaggio olivicolo e dei racconti degli olivicoltori; un’altra azione educativa concreta è rappresentata dal progetto “Olio in Cattedra” (www.olioincattedra.it) che da quest’anno coinvolgerà non solo le scuole elementari ma anche gli Istituti Agrari e Alberghieri. Ma c’è di più ci sono le Tappe di Girolio d’Italia (www.cittadellolio.it) che sono un modo efficace per promuovere da Nord a Sud le nostre eccellenze. Sono piccoli passi, piccole attività ma che hanno un enorme valore di diffusione culturale. 

Su questa strada dobbiamo proseguire, reagendo all’immobilismo e alla cecità del pensare che avanzare da soli sia meglio di proseguire insieme e uniti. Mai come in questo momento, il sistema Paese nell’olivicoltura, deve prevedere un coinvolgimento di tutti gli attori della filiera che non è solo produttiva (seppure essenziale ed importante) ma deve vedere insieme i luoghi di origine ed i cittadini nelle varie vesti di consumatori, ristoratori ed gestori dell’accoglienza.

Agroalimentare e Turismo oramai sono due settori che anche nella politica nazionale camminano insieme, ma non sono altro che il frutto del sapere, della conoscenza, della storia dei nostri territori e degli agricoltori, ovvero di quella cultura che solo qui, in Italia, si può trovare e che ci invidia il mondo intero!

Antonio Balenzano – Direttore dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio