L’olio del riscatto: a Sassari, i migranti diventano produttori di olio
Una bella storia di riscatto. Di migrazione e duro lavoro nei campi per produrre olio. E’ quella raccontata da Luigi Soriga, giornalista de La Nuova Sardegna. La riportiamo integralmente, affinché possa essere da esempio a tutti. Ed una possibile risposta efficace all’abbandono dei terreni agricoli e la salvaguardia del paesaggio olivicolo.
SASSARI. Il lavoro e il sudore non spaventano questi ragazzi affamati di riscatto e di futuro. Entrano negli oliveti armati fino ai denti, e si trasformano in macchine da guerra. In un paio d’ore sono capaci di fare la messa in piega ad alberi formato selva, e a rendere produttivi terreni dimenticati da anni.
In fondo il segreto per l’integrazione sta tutto qui: «Non togliere il lavoro agli altri – dice Luca Pintus – e noi della cooperativa Pegasus stiamo cercando di fare quello che gli altri non hanno voglia di fare».
Basta dare un’occhiata nell’agro di Sassari per capire quanto è poca la voglia di chinare la schiena sulle campagne. E quanti ettari risultano abbandonati da anni. Così il centro di accoglienza di via Genova ha pensato di riesumare un sistema antico e collaudato dell’agricoltura: la mezzadria.
Tu hai un oliveto, non hai voglia di raccogliere i frutti, ci pensano i migranti, e ci guadagni metà dell’olio. Alla Coldiretti, alle Acli e alla Fondazione Banco di Sardegna l’idea è piaciuta, e anche ad alcuni proprietari terrieri della zona di Li Buttangari. Ne è nata una cooperativa agricola chiamata Warwy, che in africano significa “l’orgoglio di lavorare la terra”. E in queste settimane la spremitura dell’olio ha raggiunto i duemila litri. «È un verdone di ottima qualità – dice Luca Pintus, amministratore unico di Pegagus – ricavato a freddo, che stiamo imbottigliando e che venderemo nei mercatini a chilometro zero che la Coldiretti allestisce il sabato mattina».
Il ricavato viene diviso tra i venti migranti agricoltori, i quali a loro volta tengono per sé pochi spiccioli per spedire quasi tutto il guadagno alle famiglie attraverso il sistema del money transfert.
Romeo invece dall’altra parte del mondo non ha più nessuno, e sta mettendo da parte un piccolo capitale che servirà a rammendare un passato a brandelli, crivellato a colpi di fucile. Ha ventiquattro anni, e la sua famiglia possedeva diversi ettari di terra coltivati a cacao e caffè. «In Africa le leggi e il diritto di proprietà lasciano il tempo che trovano – dice Luca Pintus – e vale la legge del più forte, la corruzione e chi ha più denaro». A tradire Romeo è stato uno zio: «È riuscito a comprare la polizia – racconta il ragazzo – un giorno sono arrivati e hanno sterminato i miei genitori, hanno ucciso due sorelle piccole e anche mio fratello. Io sono stato l’unico superstite». Hanno sparato anche a lui, ma i poliziotti non sono riusciti a colpirlo. «Sono fuggito senza mai guardare indietro, correndo a perdifiato. Mi hanno inseguito per settimane. Ero un animale braccato. Finché la forza della disperazione non mi ha portato al confine e l’ho oltrepassato». Da quel momento comincia la via Crucis di ogni migrante, cioè arrampicarsi di parallelo in parallelo risalendo il Continente africano, per poi fermarsi davanti alla distesa del mare libico. «Alcuni amici mi hanno pagato il viaggio con gli scafisti, ma questi ci hanno abbandonato sul gommone ancora distanti molte miglia dalla costa. Siamo rimasti parecchi giorni alla deriva e alla fine ci ha salvato una nave da guerra spagno chiamata Victoria». Romeo è nato e cresciuto agricoltore, e riprendere la zappa e le forbici non è altro che un ritorno alle origini. “Warwy, l’orgoglio di coltivare la terra” non l’ha mai dimenticato. Certo, tra una piantagione di cacao e un oliveto la distanza è siderale, e i tecnici di Coldiretti hanno dovuto partire dall’abc, ovvero dalla spollonatura, alle reti, sino all’utilizzo di quella diavoleria chiamata abbacchiatore. I docenti del Cnr invece hanno svolto dei corsi teorici sulla coltivazione dello zafferano, perché è una di quelle colture che potrebbero trovare terreno fertile anche in Africa. Babucar, Hisaia, Keita, Ibrahim, Festus, e gli altri migranti di Sierra Leone, Camerum e Costa d’Avorio buttano semi per il futuro. Lo stesso che Romeo sta rimettendo in tasca, pezzo dopo pezzo.