L’olio extravergine di oliva protegge dall’Alzheimer

Curiosità  22 Giugno 2017



La dieta mediterranea allunga la vita e protegge da diverse malattie, inclusa la demenza. In particolare, secondo alcuni ricercatori americani della Temple University di Philadelphia guidati dall’italiano Domenico Praticò (in collaborazione con Luigi Iuliano dell’Università La Sapienza di Roma) il consumo costante di olio extra-vergine di oliva (Evo) – componente fondamentale della dieta mediterranea insieme a cereali, verdura, frutta, pesce e (in minor misura) carne – mette al riparo dal declino cognitivo. Lo studio, condotto su animali, è stato pubblicato su Annals of Clinical and Translational Neurology.

Memoria e apprendimento

In particolare l’olio Evo aiuta a mantenere salde memoria e capacità di apprendimento. Inoltre riduce la formazione di placche beta-amiloidi (accumuli di proteina precursore della beta-amiloide) e grovigli neurofibrillari (reti formate da filamenti di proteina tau fosforilata all’interno dei neuroni), due marcatori tipici del morbo di Alzheimer. I ricercatori americani hanno individuato anche il meccanismo protettivo che sta alla base. «Abbiamo scoperto che l’olio Evo riduce l’infiammazione cerebrale e soprattutto che attiva un processo chiamato “autofagia”» spiega Domenico Praticò, professore alla Lewis Katz School of Medicine della Temple University. L’autofagia è il meccanismo fisiologico di sopravvivenza che la cellula usa per eliminare o riciclare parti danneggiate o inutili, come appunto le placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari. Nel 2016, proprio per la scoperta di questo meccanismo, è stato assegnato il Nobel per la medicina al biologo giapponese Yoshinori Ohsumi.

Topi transgenici

«Il cervello dei topi nutriti con una dieta molto ricca di olio Evo ha mostrato più alti livelli di autofagia e più bassi livelli di placche amiloidi e di proteina tau fosforilata» dice Praticò. La tau fosforilata (una forma mutata della proteina tau) è la responsabile della formazione di grovigli neurofibrillari, considerati tra i responsabili delle disfunzioni neurali alla base della perdita di memoria nei malati di Alzheimer. Per condurre l’esperimento Praticò e colleghi hanno usato dei topi con una forma controllata di Alzheimer, i cosiddetti topi “3xTg-AD” (modello triplo-transgenico). Questi animali sviluppano tre sintomi tipici del morbo di Alzheimer: problemi di memoria, placche amiloidi e grovigli neurofibrillari.

Sinapsi integre

I ricercatori hanno diviso i topi in due gruppi: uno è stato nutrito con dieta arricchita con olio extra-vergine di oliva, l’altro ha seguito un regime alimentare normale. L’olio Evo è stato introdotto nei pasti del primo gruppo quando i topi avevano 6 mesi di vita, prima che si manifestassero i sintomi dell’Alzheimer. Le differenze tra i due gruppi sono emerse successivamente: all’età di 9 mesi e un anno, i topi del gruppo-olio Evo hanno mostrato risultati significativamente migliori nei test sviluppati per valutare la memoria di lavoro (a breve termine), la memoria spaziale e le capacità di apprendimento. Inoltre, l’analisi dei tessuti cerebrali nei due gruppi animali ha rivelato profonde differenze nell’aspetto e funzionalità delle cellule nervose. «Una delle caratteristiche che ci ha colpiti di più è stata l’integrità delle sinapsi», ovvero le connessioni tra i neuroni, nel gruppo dei topi nutriti con dose extra di olio Evo, spiega Domenico Praticò.

Il ruolo dell’autofagia

Inoltre negli stessi animali i ricercatori hanno rilevato un notevole aumento di attivazione dell’autofagia nelle cellule nervose, responsabile come detto della riduzione del livello di placche amiloidi e proteina tau fosforilata. «È stata una scoperta entusiasmante – conclude Praticò -. Grazie all’autofagia, la memoria e le sinapsi sono state preservate, e i sintomi dell’Alzheimer – che si sarebbe necessariamente sviluppato negli animali studiati – significativamente ridotti. Si tratta di un risultato importante, una conferma dell’ipotesi che una riduzione del meccanismo dell’autofagia possa rappresentare un marcatore delle prime fasi del morbo di Alzheimer. Il prossimo passo di Praticò e colleghi sarà introdurre l’olio Evo nella dieta dei topi quando hanno un anno di vita, ovvero quando sono si sono già formate placche amiloidi e grovigli neurofibrillari. «Di solito quando un paziente viene visitato per sintomi sospetti di demenza, la malattia è già presente – conclude Praticò -. Vogliamo scoprire se l’olio Evo introdotto in quel momento possa fermare o addirittura invertire l’avanzare della malattia».

FONTE: CORRIERE DELLA SERA – Laura Cuppini