La Piadina Romagnola
Ambasciatrice Silvia Lanconelli autrice del blog Moglie da una vita per Il Calendario del Cibo a cura dell’AIFB Associazione Italiana Food Blogger
Una sfoglia di farina, acqua, strutto e sale: è il cibo da strada riconosciuto in tutto il mondo. È il simbolo della Romagna. È bandiera di appartenenza. Si parla di Piada fin dal lontano 1371. Secondo il Cardinale Angelico, fra i tributi che Modigliana doveva pagare alla Camera Apostolica, c’erano “2 piade”, di cui fissa per la prima volta la ricetta, nello stesso anno. Si legge infatti nella Descriptio Romandiolae:
“Si fa con farina di grano intrisa d’acqua e condita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po’ di strutto”.
Cibo povero, diffuso fra i meno abbienti, la Piada viene cantata da Giovanni Pascoli, diventa lirica e acquista dignità.
Scrive Pascoli su una nota del poemetto a lei dedicata e pubblicata su Vita Internazionale, nel 1900: “Piada, pieda, pida, pié, si chiama dai romagnoli la spianata di grano o di granoturco o mista, che è il cibo della povera gente; e si intride senza lievito; e si cuoce in una teglia di argilla, che si chiama testo, sopra il focolare, che si chiama arola”.
La Piadina ritorna in varie opere del Pascoli citata come “pane di Enea” e “pane rude di Roma”, legando cosi la sua origine alla mensa latina.
Etimologia del nome
Le ipotesi legate all’etimologia del nome sono molteplici: Piada
deriva forse dal latino medioevale e volgare pladna o plathana, a sua volta risalente al greco plathánon, l’asse su cui veniva impastato e steso il pane?
Oppure dal greco plakòus, focaccia, o, ancora, dal medievale piàdena che indicava una bassa ciotola larga e piatta, o da piê, piês, rassodarsi?
Se, come pare, “Piadina” sia il nome originario e “Piada” la sua contrazione, allora la piadina sarebbe stato il piatto su cui venivano servite le pietanze, trasformatesi oggi nel ripieno.
La piadina oggi
Dopo oltre dieci anni di battaglie, la Piadina/Piada romagnola, con il Regolamento 1174 del 24 ottobre 2014, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ha ottenuto l’IGP, vale a dire l’ Indicazione Geografica Protetta.
Il marchio IGP comprende due varianti di Piadina:
la classica, con un diametro che varia fra i 15 ed i 25 cm ed è spessa fra i 4 e gli 8 mm e la riminese, con diametro che va dai 23 ai 30 cm ma più sottile (fino a 3 mm di spessore).
Veniamo dunque alla ricetta della tradizione:
– Farina di grano tenero
– Acqua q.b.
– Sale q.b. (pari o inferiore a 25 g per kg di farina)
– Strutto oppure olio d’oliva oppure olio extra vergine d’oliva, o combinati (ma non superiore a 250 g per kg di farina)
– Agenti lievitanti: carbonato acido di sodio, difosfato o amido di mais
Impastare la farina con acqua e sale, unire la parte grassa, lavorare velocemente, porzionare in palline da 100/150 g, lasciar riposare un’ora sotto canovaccio umido e infine cuocere su testo, teglia, graticola rovente.
Fin qui, il disciplinare.
Ma non scherziamo!
(mi spoglio di libri e ricerche e divento la romagnola verace che sono)
La Piadina è famiglia, cucina, abitudini e traccia. È la preparazione che, nelle case contadine, si faceva fra un pane e l’altro, è la luna che guardavano cuocere i bambini sul testo o sulla stufa e le stelle non stavano a guardare: eccola diventare piatto a recar formaggio e salame e verdure dell’orto.
Ora, se venite in Romagna e volete dire di aver mangiato la vera Piadina, avete l’obbligo morale di assaggiarle tutte, dalla collina al mare, perché la piada traccia il confine familiare e territoriale negli ingredienti e nello spessore.
Altro che IGP.
Partiamo dal confine con l’Emilia.
Imola
Guerriero Cavallari, grandioso cuoco e ricercatore romagnolo, a un corso da sfogline, ci passò la ricetta della Piada imolese:
1 kg di farina, 3 uova, 200 g di strutto, sale, 1 bustina di lievito per dolci, latte qb (io inorridisco e la boccio, ma la ricetta è la ricetta).
Scendendo sulla via Emilia arriviamo nel Faentino e, sulla collina, troviamo una Piada piccola e soffice, alta un centimetro abbondante. Farina debole, strutto, latte, lievito, sale, bicarbonato. Fognano: baracchina Lo Scoiattolo, altre in città non vi consiglio, se non la mia.
A Forlì i chioschi cominciano ad avere le tradizionali righe colorate e la Piada si assottiglia leggermente, e nell’impasto oltre al latte e al lievito, si aggiunge il miele.
Ravenna, aristocratica e divisa fra città e spiagge, vede la Piadina fare la sua bella figura nelle osterie come la famosa Ca’ de Vèn e nei chioschi, (baracchine) anche questi a righe verticali; lo spessore ancora discreto, nell’impasto strutto e bicarbonato, sale di Cervia, niente latte e lievito per torte salate. (menzione speciale per la Piadineria Mamma Carla sulla strada provinciale 51, a Castiglione di Ravenna)
È a Cesena che il disco comincia ad allargarsi e a farsi luna, è a Cesena la Piada migliore da gustare con salsiccia e cipolla, non troppo grossa da “fé e gósh”, non troppo sottile che non assorba il sugo: perfetta. La ricetta dice solo farina, strutto, acqua e sale, bicarbonato.
(la Piadina della Nadia, Cannuceto di Cesenatico)
Ma eccoci alla Piada per eccellenza, a quella che il turista della riviera pensa con un sospiro, un bacio, un morso, un sorso.
Rimini e Riccione.
Questa è la Piada da spiaggia, si porta nel cartoccio, si consuma in strada, in costume; una sfoglia di farina, acqua, strutto, sale, tirata tonda e liscia in uno spessore che non superi i tre mm e dal diametro che arriva ai 30 cm.
(Rimini, dalla Lella via Covignano, Piada, ma ancor meglio cassone)
(Riccione, da Romano, viale Gramsci 69, Piada al prosciutto assolutamente)
Solo Misano vanta nelle baracchine la variante rettangolare e solo in un chiosco lungomare; molto simile alla riccionese, viene tirata in strisce lunghe e servite ripiegate a quadrato.
(Il capriccio di gola, lungomare centro Misano)
Il ripieno?
Rigoroso: squacquerone e rucola
Tradizionale: prosciutto crudo
Estivo: bianchetti (omini nudi) e rucola
Salutista: spinaci, erbette, crescione
E questo mi porta alla variante chiusa della Piadina, il cassone o crescione, che altro non è che una Piada tirata poco di più, chiusa a mezzaluna e sigillato con i rebbi della forchetta. Farcito di erbette è il massimo, ma troverete le varianti salsiccia e stracchino, salsiccia e patate, mozzarella e pomodoro, zucca e salsiccia.
Chi frequenta la Romagna e le baracchine conosce anche le varianti dolci e oramai irrinunciabili: Piada e Nutella (bleah), Piada mascarpone e cioccolato, banana e cioccolato spalmabile (taccio).
La cottura?
Per ogni versione: testo, teggia, teglia di Montetiffi, lastra di ferro, padella antiaderente. L’importante è che sia rovente per cuocere la sottilissima, che va adagiata e subito girata; meno caldo per la più grossa, alla quale occorre più tempo per cuocere, un lato alla volta.
LA MIA RICETTA (PIADA RICCIONESE):
500 g di farina tipo 1
100 g di strutto
2 cucchiaini di sale di Cervia
175 g di acqua calda
Impastare farina e strutto, aggiungere acqua calda e sale, amalgamare fino ad ottenere un panetto compatto che metterete in un sacchetto per alimenti, nella parte bassa del frigorifero, fino al giorno successivo.
Prendere quindi il panetto, riportarlo a temperatura ambiente, dividerlo in 4 parti, farne palline e stendere ogni pallina con il matterello fino ad ottenere un disco alto circa 3 mm.
Cuocere su teglia rovente prima da un lato, poi dall’altro; servire immediatamente.
E se preparate la Piada con la pasta madre non sentitevi eretici, sappiate che nelle case di un tempo, come scriveva Giovanni Manzoni, si preparava la piada così: Tirare la sfoglia già lievitata non soda e un po’ grossa, dopo aver fatto l’impasto con acqua, farina, alcuni cucchiai di grasso ed aver aggiunto il lievito di pane e sale. Tagliare la sfoglia ottenuta in tanti cerchi di centimetri quindici di diametro, friggere in molto grasso oppure ungerli da ambo le parti e metterli a cuocere sulla graticola o sul testo.
La piadina nelle canzoni:
La piadina nella poesia
Aldo Spallicci la onora non solo con la poesia in dialetto che riporto, ma fonda, nel 1920, una rivista di cultura divulgativa chiamata “la Pié”, che è a tutt’oggi la più antica rivista romagnola.
LA PIE
(Canta ‘d trincera)
– « Csa j ét, e’ mi Angiulìn,
Csa j ét in da gulpe? » –
– « La j è pr’ e’ suldadìn
L’è roba da magne! »-
Oh Dio la pie!
Udor da cà
Che riva iquà
E e’ sent chi ch’ magna
Eria ‘d Rumagna,
Oh Dio la pie!
– « Chi manda ste tvajol
Ste bel tvajOl ‘d bughe? » –
– « A che purett de’ fiol
La mama tuva ‘d te » –
Oh Dio la pie! ecc. ecc.
– « Chissà quel ch’la dirà
Parchè ch’ la s’ feza bon! » –
– « T’ la megna in divuzion ». –
Oh Dio la pie! ecc. ecc.
– « Spartegna la gulpe
Ch’ a i vlen pinser in dù ». –
– « E al bocch a gli à magne
E j occ j à un po pianzu ». –
Oh Dio la pie! ecc. ecc.
Aldo Spallicci
Fonti:
Taccuini storici
Cucinario di una vecchia famiglia nobiliare di G.Manzoni
FondazionePascoli.it
Cucina Italiana
Il mio palato per i suggerimenti
Partecipano come contributors:
Valentina De Felice, La Piadina
Tiziana Bontempi, La Piadina Romagnola
Claudia Martinelli, La Piadina Romagnola con esubero
Sonia Nieri, Piadina sfogliata con pasta madre
Francesca Antonucci, Piadina, verdure grigliate, mozzarella e cotto: la ricetta sana
Qui puoi consultare tutto il Calendario del Cibo