Garmugia

Oggi voglio raccontarvi una storia che nasce tra le mura di orti nascosti in una città fra le più belle d'Italia: Lucca.
Food Blogger  21 Marzo 2014



E’ PRIMAVERA: GARMUGIA!

Oggi voglio raccontarvi una storia che nasce tra le mura di orti nascosti in una città fra le più belle d’Italia: Lucca. 

Una città che ha nella sua provincia un grandissimo patrimonio di ville e giardini, ed è proprio qui che tutto ha avuto inizio.

La storia di un piatto che viene preparato solo per pochissimo tempo durante l’anno, ovvero in quelle settimane in cui la natura si risveglia e ci regala i suoi primi germogli, il verde delicato delle primizie che hanno il sapore dell’erba che spunta con il primo sole.

Un piatto che è l’inno alla rinascita, al risveglio ed anche una spinta a recuperare energie e salute.

Perché con la primavera sentiamo in noi lo spirito del risveglio, l’energia che risale lungo le nostre membra addormentate dal lungo inverno, il desiderio di volgere il viso al sole per assorbire tutta la sua luce che tanto ci è mancata nei mesi freddi.

La Garmugia è un inno alla primavera.

E’ la primavera fatta piatto e racchiude il sapore del nuovo.

Però dovete essere onesti e cercare tra i banchi del mercato, quelle primizie più delicate, tenere, i carciofi più piccoli e tosti, gli asparagi più sottili e croccanti.

Se avete amici con l’orto, pregateli in ginocchio di donarvi il loro primo raccolto.

E poi portategli un piatto di Garmugia e li farete cadere in estasi.

 

Pare che il nome Garmugia derivi proprio dalla parola germoglio. 

La sua storia è molto antica, e nonostante quello che a noi tutti sembra un piatto modesto e povero, è in realtà una zuppa destinata alla nobiltà toscana del XVII secolo, periodo in cui si cominciano ad avere testimonianze storiche di questo ricetta.

Una zuppa dunque, ma molto speciale. 

Rispetto alle molte zuppe contadine e povere conosciute, in cui l’elemento liquido è molto presente (per sopravvivere bisognava allungare il brodo ovviamente), la Garmugia non richiede di essere cotta in moltissimi liquidi per preservarne la freschezza.

Inoltre contiene elementi che testimoniano la sua origine “ricca”: il macinato di vitello e la pancetta, che contribuiscono ad elevare il piatto a qualcosa destinato ai signori o alla buona borghesia, che poteva permettersi la carne.

Si pensa anche che sia l’evoluzione di una minestra popolare a base di semplici verdure primaverili, entrata nelle case nobili dove ha visto la sua trasformazione con l’aggiunta della parte proteica.

Si è sempre considerato la Garmugia il piatto delle puerpere, delle partorienti e delle persone in convalescenza, perché il suo apporto di vitamine e proteine è un vero toccasana.

Ne parla con grande enfasi una donna molto speciale, la Marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, vissuta praticamente lungo tutto il secolo scorso.

Appassionata di cucina, di letteratura ma anche sportiva (amava la caccia e la pesca) e la più grande esperta di una razza canina, il piccolo levriero, scrisse diversi libri di cucina, alcuni molto famosi, come “Il Girarrosto” e “Come si cucina la selvaggina”.

Nel suo celebre Pranzi e Conviti racconta appunto la cucina toscana dal  XVI secolo ai giorni nostri e parlando della Garmugia, la presenta come “una zuppa da servire a chi esce da una lunga malattia o a chi debba affrontare un lungo viaggio”.

Contrariamente a molte ricette toscane che vedono la presenza del pane abbruscato in fondo al piatto, la Garmugia vuole che il pane sia messo sopra ed irrorato con ottimo olio extravergine.

Celebrate questa zuppa servendola nelle vostre ceramiche delle feste, come si conveniva alle famiglie nobili.

Niente ciotole, niente scodelle di terracotta, ma eleganti porcellane di Ginori.

 

Ingredienti per 4 persone

3 cipolline novelle (io ho usato quelle di Certaldo)

2 carciofi Morelli

100 g di pisellini freschi (conservate le bucce)

100 g di favette sgusciate

100 g di punte di asparagi (conservate i gambi)

100 g di carne macinata di vitello

50 g di pancetta tirata (io ho usato quella di Cinta Senese)

1 l di brodo vegetale

2 fette di pane casalingo, possibilmente senza sale, perfetto quello di Altopascio

Olio Extravergine DOP Aprutino Pescarese dell’azienda Agricola Raulli

Sale – pepe a piacere

Partiamo dal brodo che come in tutte le preparazioni che ne prevedono la presenza, fa la differenza.

Lavate accuratamente le bucce dei piselli scegliendo quelle più integre e tenere.

Tagliatele a pezzetti e mettetele in una casseruola con 1 l e mezzo di acqua.

Aggiungete anche i gambi di asparagi che avrete pelato con un pelapatate e tagliati a tocchetti. Aggiungete una cipolla ed una carota e portate ad ebollizione.

Una volta ridotto il liquido ad un litro, eliminate la carota e la cipolla, e frullate le bucce di piselli e gli asparagi, ottenendo un brodo cremoso ma ancora liquido. Se dovesse essere troppo denso, aggiungete acqua. Aggiustate di sale e filtrate per eliminare eventuali filamenti delle bucce di piselli.

Tenete da parte caldo.

In una casseruola di ghisa, fate passire in 2 cucchiai di olio extravergine le cipolline che avrete affettato finemente.

Tenete la fiamma sempre molto dolce e cuocete c.ca 5 minuti, se necessario aggiungendo un goccio di brodo.

Quando sono belle morbide e quasi trasparenti, aggiungete la pancetta tagliata a striscioline e mescolate fino a che non sarà croccantina e a questo punto aggiungete il macinato di vitello e fate cuocere per altri 5 minuti.

Aggiungete i carciofi puliti e tagliati in fettine non più spesse di 1 cm e fateli cuocere aggiungendo poco brodo. Non devono disfarsi.

Dopo 3/4 minuti, aggiungete le fave (quelle eventualmente può grosse vanno private della buccia esterna) ed i piselli e continuate la cottura con un mestolo di brodo.

Cercate di mescolare il meno possibile affinché le verdure non si spappolino.

Per ultimo vanno le punte di asparagi, quelle più veloci a cuocersi.

Aggiungete il brodo sempre in maniera parca. Le verdure non devono affogarci dentro e nonostante la cottura, restare belle consistenti.

In tutto, con la fiamma bassa, la cottura durerà c.ca 30 minuti.

Una volta pronta, lasciatela riposare mentre preparate i crostini di pane.

Tagliate due fette di pane “sciocco” e riducetele a dadini.

Saltateli in una padella antiaderente, senz’olio fino a che non saranno belli croccanti.

Versate la Garmugia nei piatti, rifinitela con i crostini e irrorate con generosità dell’ottimo Olio extravergine Dop Aprutino Pescarese, di cultivar Toccolana, che grazie alla suo interessante aroma fruttato con sentori di mandorla e pomodoro ed una decisa piccantezza e toni di amaro in bocca, nobiliterà al massimo questa ricetta.

 

 

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